Il segno grafico, espressione di un simbolo interiore, ci porta a comprendere come la grafologia si ponga quale obiettivo principale, quello di esplorare peculiarità e potenzialità di un individuo, indipendentemente dal contenuto dello scritto prodotto; alla luce però, di sempre più recenti studi in ambito scientifico, atti a rilevare e dimostrare come alla scrittura manuale sottenda sempre un legame profondo tra concetti espressi ed abilità cognitive, è facile approdare alla conclusione che non sia importante solo cosa scriviamo, ma anche come lo facciamo.

A suffragare tale postulato, ci vengono in aiuto le menti fertili di antichi scrittori e letterati, filosofi, grandi pensatori e uomini della cultura, che non potendo sfruttare i vantaggi di una tecnologia al servizio della rapidità, affidavano idee, pensieri e sapere alla loro penna; la scrittura manuale favorisce il generare idee, elaborare e conservare informazioni, migliorare i processi riflessivi e di comprensione, aumentare le potenzialità della memoria

Chi scrisse cosa?

Non è possibile riportare alla luce le infinite testimonianze del passato in merito alla scrittura, alla valenza del gesto più evoluto e raffinato che la mano dell’uomo abbia mai imparato a compiere, rendendolo indispensabile alla storia evolutiva del genere umano stesso; ma è sicuramente interessante rispolverare scritti famosi sull’argomento, pensieri che in questo articolo vorrei proporre alla vostra attenzione, proprio per porre l’accento su come sia impossibile estrapolare completamente il concetto di “scrittura contenuto” al concetto di “scrittura forma”.

Francesco Petrarca, per esempio, scrisse:

“Non c’è cosa che pesi meno della penna, non v’è cosa più lieta; gli altri piaceri son effimeri e dilettando recano danno; la penna dà gioia sia nel prenderla, sia nel deporla

Un piccolo cenno storico: l’invenzione della stampa a caratteri mobili risale intorno al 1450, quando si pensò di creare una forma di scrittura basata su simboli dalle forme più semplificate e quindi di più facile lettura, ma solo molto tempo dopo, nel tardo 1800, venne brevettata in modo industriale, dall’azienda di armi americana Remington, la prima vera macchina da scrivere.

Ritornando alle nostre penne famose, darei rilievo a queste parole di Simone de Beauvoir:

“… scrivere pertanto, è un’attività complessa: è insieme, preferire l’immaginario e voler comunicare; in queste due scelte si manifestano tendenze assai diverse e a prima vista contrastanti …”

Dopo accurate valutazioni ho sposato questa tesi: lo stile scrittorio riflette sempre lo stile grafico; ad un testo sobrio, sintetico, essenziale, si accompagna quasi sicuramente una grafia altrettanto semplificata e parca; al contrario, alla produzione di scritti più elaborati, lunghi e copiosi si potrà affiancare una grafia concentrata, magari piuttosto minuta, indotta da una indispensabile concentrazione di pensiero; oggi i nostri scritti sono quasi esclusivamente affidati al supporto tecnologico e risulta pertanto impossibile comprendere quale stato d’animo abbia condotto alla formulazione di un pensiero; scrivere non è infatti solo  l’atto motorio conclusivo di un processo, ma è anche e soprattutto il prodotto di un moto dell’animo …

Vi lascio riportando le parole di una scrittrice più contemporanea, Dacia Maraini: “preferisco pensare alla scrittura come ad una testimonianza, un gesto d’affetto nei riguardi di una memoria che se ne va e muore anzitempo; un’esperienza che ti fa cambiare l’angolo dello sguardo, un arricchimento di prospettive, accompagnata forse da un infantile desiderio di seduzione; ma fuori dai canoni, dentro le allegre invenzioni di una mente inquieta

 

 

 

Lascia una replica

error: I diritti sui contenuti sono riservati agli autori e concessi in esclusiva ai proprietari del sito.