La Luna piena in Gemelli avrà luogo il 23 novembre 2018 alle 06:40, coinvolgendo l’asse Gemelli/Sagittario a 0°52′, tra la I e la VII casa. Mi salta all’occhio il quadrato a T formato con Marte, a 4°32 dei Pesci, in prossimità del Fondo Cielo del grafico di Plenilunio, e mi soffermerò in particolare su questa configurazione.
Stiamo affrontando il concetto di relazione comunicativa e risulta allora naturale e al contempo fondamentale focalizzarsi sull’importanza delle parole. Spesso quando parliamo con qualcuno per esprimere una nostra esigenza o condividere la nostra opinione su un dato argomento, abbiamo la sensazione di essere fraintesi.
Ciò accade molto spesso perché noi stessi non abbiamo un’esposizione chiara vivendo delle scissioni interiori tra ciò che pensiamo e come lo esprimiamo, per non parlare di tutte le volte che desideriamo nascondere ciò che pensiamo davvero ed indossiamo delle maschere.
C’è una sottile sensazione di incomunicabilità che, se da una parte attiva in noi un senso di frustrazione di cui responsabilizziamo l’altro, dall’altra contribuisce a far sì che ci chiudiamo a riccio.
In questo momento Mercurio sta effettuando la sua passeggiata retrograda in Sagittario ed una delle potenziali manifestazioni, complice Marte in posizione dissonante all’opposizione soli/lunare, potrebbe essere una tendenza al fanatismo, alla non distinzione tra opinioni e fatti.
Le ferite dei nostri Antenati: invisibilità ed esclusione
La presenza di Marte in Pesci al Fondo Cielo potrebbe far vibrare in noi quelle ferite profonde, provenienti dall’eredità genealogica paterna, rispetto al senso di esclusione e di invisibilità nel non sentir esauditi i propri bisogni fondamentali di esser ascoltati e compresi.
Una sottile rabbia ancestrale cova sotto la cenere, una sete di amore ed accudimento condito da vittimismo per non aver ricevuto ciò che sentivamo necessario.
E’ la ferita di esclusione e di estraneità che portiamo in eredità per lealtà agli Antenati che non hanno potuto strutturare nessuna piccola abitudine che dia loro sicurezza; memorie di figli che hanno lottato nell’invisibilità che deriva da un grande vuoto interiore, quello derivante dalla mancata esperienza di sé, occupati a realizzare le aspettative familiari sacrificando il proprio istinto all’indipendenza.
Come si coniuga questa memoria con le nostre vite, apparentemente così ricche di impegni e di relazioni?
La comunicazione invisibile: i social
Siamo in una società dove la comunicazione è principalmente virtuale, un like su Facebook è il metro di valutazione rispetto al fatto che una persona sia presente per noi o che al contrario non ci veda. Allo stesso tempo un commento che contenga una parola di troppo ci ferisce molto facilmente e scatena polemiche sui social che diventano arene di fanatismo, ognuno cerca di imporre all’altro le proprie idee e poi, quando incontriamo queste persone per la strada, nemmeno ci salutano perché al di là del mondo dei social non ci conoscono.
Non sapere con chi si comunica espone meno alla ferita del rifiuto
Facebook ha una bellissima funzione ma, secondo me, non può e non deve diventare un sostituto di comunicazione umana e visiva. Ancora amo di più chiacchierare, confrontarmi e condividere all’interno di un’amicizia concreta, in un abbraccio fisico e caloroso piuttosto che dietro una semplice tastiera.
E’ facile avere moltissimi amici sui social, ma che significato stiamo dando all’amicizia? All’impegno di esserci quando serve davvero?
E’ importantissimo in una relazione sviluppare la capacità di ascolto, non semplicemente dell’altro come risulterebbe naturale pensare, ma di sé stessi e di ciò che le parole dell’altro attivano in noi. Perché quando ci sentiamo feriti o rimaniamo scossi, ciò che sta vibrando è qualcosa di profondamente nostro che non ha origine in quelle parole ma che quelle parole portano inesorabilmente ad emersione attraverso il nostro stato emotivo.
Le proiezioni comunicative: con chi stiamo parlando davvero?
Si fa un gran parlare nel nostro tempo sul potere creativo delle parole, e sull’importanza della comunicazione non violenta e personalmente sono d’accordo in tutto. La scelta delle giuste parole, calibrata sulla percezione emotiva dell’altro è la base di ogni professione che si occupa della relazione d’aiuto.
A tutti capita di ferire attraverso una parola di troppo ed immediatamente pentircene o, dalla parte opposta, sentirci feriti da una parola che ci viene detta forse semplicemente in modo avventato e frettoloso e rinchiuderci in noi stessi per paura di esplorare ed ascoltare le nostre fragilità.
Tutte le volte che litighiamo o polemizziamo con qualcuno stiamo esprimendo una fortissima esigenza che il nostro pensiero sia visto ed accolto ed entriamo in una lotta di potere relazionale, basato sul bisogno di stabilire un vincitore ed un perdente, una ragione ed un torto.
Con chi stiamo parlando davvero? Dietro l’apparenza chi si cela nella sostanza? Quali sono gli irrisolti con le figure di accudimento primordiale che veicoliamo all’interno delle relazioni che smuovono le profondità delle nostre Ombre?
Nella prima parte della mia vita e in ogni confronto sentivo forte il desiderio di convincere gli altri delle mie ragioni e ad oggi ho compreso che, secondo me, torti e ragioni non esistono ma esistono le ferite del cuore che ci portano in lotta con noi stessi attraverso l’altro.
Ho smesso di pensare che sia importante avere ragione, non lo è più, almeno per me.
E’ importante però essere coerenti, aderenti ma aperti all’ascolto di sé e dell’altro. L’empatia è anche questo e viene sviluppata spesso attraverso la comprensione che lo scontro competitivo, dove ognuno vuole prevalere sull’altro ritenendo più importanti le proprie ragioni, non costruisce nulla.
Questo non significa che dobbiamo sforzarci di andare d’accordo o di piacere a tutti, ma vuol dire accogliere la validità delle opinioni altrui come pure quella delle proprie, nel mondo del libero pensiero e della libertà di opinione, veri e non solo apparenti.
La trasformazione dell’intento comunicativo porta apertura
La trasformazione avviene attraverso il desiderio di condivisione che amplia la visione del mondo perché aggiunge una prospettiva diversa e non esprime semplicemente fame e bisogno di ascolto veicolati dall’ansia di essere considerati.
La scrittura come forma di auto-guarigione
Se ci sentiamo più a nostro agio con la scrittura, si può cogliere l’energia di questo Plenilunio anche per redigere un piccolo diario della nostra interiorità o per scrivere una lettera a qualcuno, senza necessariamente spedirla, per esprimere ciò che a parole dirette non sapremmo.
Ricordo, quando feci il percorso di Rebirthing, l’importanza delle lettere di risoluzione che scrissi in più riprese, lettere a mia madre e a mia nonna che alla fine lasciai andare nel mare e che mi liberarono da molta sofferenza, mostrandomi allo stesso tempo la responsabilità che dovevo prendermi nella mia crescita emotiva e nell’uscita dal ruolo di vittima.
Oggi siamo abituati solo alla posta elettronica eppure potremmo provare a sentire l’emozione che si produce in noi allo scorrere della penna sul foglio, nel lasciar fluire liberamente le parole così come sgorgano spontaneamente dal cuore, senza paura.
Gli altri non sono nemici ma possono mostrarci in che modo siamo nemici di noi stessi, in che modo rinunciamo all’auto-espressione per paura di sentirci rifiutati o esclusi. Se vediamo l’altro come un nemico necessariamente sentiamo la necessità di chiusura in difesa e spesse volte cocreiamo attacchi perché la nostra necessità interiore è quella di difenderci.
In questi giorni possono emergere incontri/scontri/polemiche che hanno la sola funzione di mostrarci con chiarezza la nostra paura di aprirci, allargando la zona di comfort all’ingresso di una nuova forma di relazione.
Facciamo tesoro di questa energia per un ritorno alla comunicazione diretta, umana, più che virtuale.
Buon Plenilunio!