Dopo avere introdotto la nozione di “Immaginale”, così come Henry Corbin l’ha elaborata, occorre provare a descrivere in che cosa consista un approccio immaginale, che senso possa avere nella quotidianità contemporanea, e per quali motivi alcuni autori ne avvertano l’esigenza, addirittura l’urgenza.

L’immaginale ha alcune caratteristiche, che non riguardano solo lo sguardo con cui cogliere il mondo, ma anche alcuni aspetti del mondo stesso, alcuni momenti e luoghi, alcune opere e ambienti, alcuni ritmi e situazioni.

Da Jung a Hillman, da Bachelard a Durand, a partire naturalmente da Corbin, il filone immaginale ha i propri punti di svolta.

In Italia, ad occuparsi in prima linea della diffusione della cultura immaginale, è sicuramente il professor Paolo Mottana, docente ordinario di filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano. Paolo Mottana è tra gli ispiratori e organizzatori del primo Master in culture simboliche che si tiene a Milano presso l’Università Bicocca, un’esperienza formativa straordinaria e che non ha uguali in Europa. Grazie al suo lavoro e alle sue idee, l’immaginale è tornato a rivestire il ruolo per cui si è affacciato nel mondo, ed evitare di rimanere una nozione polverosa da imparare a memoria recitando la lezioni su alcuni autori. In quanto ideatore della pedagogia immaginale, Mottana ha reso tale approccio una questione educativa, introducendo alcune pratiche che sono e saranno fondamentali per tentare di riequilibrare le spinte e le derive schizofreniche che stanno condizionando il nostro tempo.

Toccare l’immaginale

L’immaginale è anche un atteggiamento, un modo di porsi nei confronti dell’altro, una postura della coscienza che concerne l’afflato contemplativo, in contrapposizione allo spirito attivo e affaccendato che logora i corpi e le menti di quasi chiunque. Un simile sguardo si coltiva con pazienza e con lunghe cotture a fuoco lento, implicando la rinuncia a cercare di carpire segreti e conquistare verità o essenze dal cuore di ciò che si osserva o con cui si entra in relazione, che sia un’altra persona, un’opera d’arte o un paesaggio.

Un’attesa, uno smarrimento, una visione, momenti di sospensione e soprattutto l’accoglienza dell’altro sono segni dell’emergere dell’immaginale nella coscienza. Si possono allenare, con la passiva e lenta contemplazione di alcune immagini (non tutte le immagini, ma quelle che lascino intendere, che abbozzino e accennino, che non siano didascaliche, che non siano nette, in modo che le sfumature tipiche del linguaggio simbolico possano affiorare), con l’attesa, con la rinuncia alla volontà predatrice, lo sguardo dal mirino che sonda, violenta e saccheggia ciò che osserva. E’ il contrario della messa a fuoco, qui si tratta di sfuocare, di perdere, di lasciar andare, di rinunciare ad obiettivi e risultati, a spiegazioni e illuminazioni.

Citando Mottana:

“il lavoro ermeneutico sulla materia immaginale è esperienza emozionata, gravitazione immobile, sospensione e attrazione, vagabondaggio e ammutolimento, attesa soprattutto. La sua postura è quella dell’appostamento ma è anche quella dell’oblio, dello sprofondamento, dell’indugiare nell’oscurità e, persino, dell’arresto di fronte all’inconcepibile e all’inconcepito”.

Accettare di porsi in questi termini è già un grande passo, perché nel chiaroscuro si risvegliano potenze sopite, e non è da tutti provare ad immergersi in una simile esperienza. La sosta presso le immagini costituisce l’architrave del metodo stesso. Pazienza e devozione, allentamento della tensione che tipicamente accompagna e logora chi è schiavo dell’obiettivo, del risultato. Qui il vortice gira lentamente, il liquido è spesso e pastoso, la confusione è un metodo.

Come in una perenne penombra, si rilassano le tensioni, si chiede all’io di farsi da parte, di non proiettare e di non usare il filtro dei propri gusti personali nell’interagire con le immagini. Farsi attraversare, lasciarsi fecondare, accogliere.

Noterete che si tratta di caratteristiche espulse dal nostro sistema socio-culturale, che va esattamente nella direzione opposta.

Parte del lavoro che propongo alla S.A.I. è questo, pertanto tocca predisporsi a una silente rivoluzione.

Un commento

  • […] Significa addestrarsi a conoscere un metodo, quello astrologico, che permette di dare un ordine alle esperienze contenute nel mondo dell’inconscio e di dare voce alle Immagini. E’ un Viaggio a tutti gli effetti e, come per tutti i viaggi, è necessario conoscere perfettamente non solo la mappa, ma anche il territorio che si andrà ad esplorare. Significa mettere da parte per qualche istante ciò che si pensa di sapere e seguire le impressioni, stimolate dai simboli, che emergono dal mare dell’Inconscio. Henry Corbin ha parlato del mundus imaginalis, descrivendolo appunto come zona intermedia tra Corpo e Spirito, tra Cielo e Terra, a cui è possibile accedere attraverso la pratica dell’imaginatio. Seguire un simbolo non significa perdersi in pensieri senza nessuna aderenza con la Realtà, ma significa lasciarlo agire nel proprio mondo interiore e diventare testimoni dell’intero processo. Per comprendere il Simbolo, che astrologicamente parlando è rappresentato da segni zodiacali e pianeti, è necessario addestrare quindi quella parte della nostra mente che noi occidentali siamo poco propensi ad utilizzare e che possiamo chiamare, debitori a James Hillman ed Henry Corbin, “Sensibilità immaginale“. […]

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